I tempi della crisi, la fine di un mito
Le automobili cinesi e indiane a Bologna
Quando, qualche mese fa, come Gruppo di Studio sull’Emilia Romagna scrivemmo il libro Bologna dove va la vecchia signora? (ed. Quaderni di Contropiano), la nostra attenzione era rivolta alle modificazioni del tessuto urbano e produttivo della città. Osservammo che le modificazioni descritte avrebbero potuto subire delle accelerazioni dovute ai processi di crisi in atto. I cambiamenti socio-economici del territorio erano ovviamente precedenti alla crisi, ma questa ampliava i margini di cambiamento.
Un elemento centrale nella nostra analisi era la durata della crisi e le relative conseguenze temporali. Oggi assistiamo ad un lento ma progressivo declino produttivo e urbano.
Basta scorrere i giornali locali per seguire quotidianamente le diverse aziende industriali in crisi e la difficoltà del settore dei servizi a reggere sul piano occupazionale la massa di lavoratori espulsi dal settore industriale.
Quello che sembra rimanere è una produzione sempre più di nicchia a scapito della produzione su larga scala. Questo ovviamente non è sinonimo di salute, l’essere di nicchia non è solamente un dato legato ai manufatti prodotti ma è la dimensione dello stesso sistema industriale.
Abbiamo aziende in crisi, che avevano in questi anni investito sull’innovazione produttiva e dell’organizzazione del lavoro, che sono state colpite anche loro dagli effetti della crisi. La Fini Compressori di Zola Predosa, fu una delle prime aziende di Bologna a introdurre il Kaizen, mutato all’epoca dal sistema industriale della Porche tedesca. Il Kaizen è un’organizzazione del lavoro basata sulla fine dei tempi morti, per quanto riguarda le operazioni di lavoro operaio e parallelamente la fine dei tempi morti rispetto alle scorte di magazzino. Questo succedeva quasi dieci anni fa. Oggi l’immagine della Fini Compressori è quella di un gruppo di operai che chiede di non diventare lavoro morto.
La crisi porta con se una interrelazione tra l’aspetto urbano e produttivo. Pensiamo alle recenti vicende legate al sistema fieristico bolognese.
Attorno alla fiera di Bologna si è costruito e si sta costruendo un nuova cintura urbana e di servizio, è in fase ultimativa la nuova “Porta Europa” su via Stalingrado, e più in generale assistiamo alla modificazione di intere aree urbane sul territorio bolognese come la “Bertalia-Lazzaretto” e il nuovo quartiere residenziale “Trilogia” al posto del dell’aree dell’ex mercato dietro alla stazione di Bologna.
Questo nuovi volumi di cemento, mattone e ferro, tuttavia non fermano gli attuali processi di crisi, anzi per molti versi diventano l’emblema di questa fase di ristagno. La crisi del commercio e la chiusura di numerose attività commerciali, dentro i nuovi complessi urbani sono una conferma di tutto questo, basti pensare al turn-over di negozi nel nuovo complesso della “Minganti” in via Ferrarese o l’immediata chiusura di alcune attività presso la sede del nuovissimo Comune.
La Fiera di Bologna, già colpita in questi ultimissimi anni dalle attuali turbolenze economiche, oggi rischia di perdere, o alla meglio di vedere fortemente ridimensionato il suo gioiello interno: il Motor Show.
Da una parte assistiamo al disimpegno di gran parte delle case automobilistiche, che tagliano sulla promozione delle fiere, investiti prepotentemente in una crisi generale del sistema produttivo legato al comparto automobilistico. Le più importanti case automobilistiche dell’economia occidentale hanno deciso di non partecipare, tra cui anche la FIAT. Alcuni analisti parlano unicamente della presenza di casa automobilistiche cinesi e indiane, già questo dato renderebbe ben visibile un cambiamento epocale, che fino a qualche hanno fa sarebbe stato considerato impossibile. Se la crisi investe il pianeta non è secondario osservare come questa produce un diverso effetto nelle economie occidentali (Europa, Giappone e USA) rispetto a quella di continenti emergenti (ASIA e Sud America). Anche sul lato “simbolico” vediamo come una nazione considerata il “cortile di casa” degli U.S.A., sia riuscita ad ottenere la gestione delle prossime olimpiadi.
Dall’altra parte assistiamo ad un meccanismo di gestione della fiera e del sistema dei servizi ad essa collegata incapace di darsi una dimensione pubblica, dove gli interessi privati e speculativi hanno accelerato questa crisi. In questo senso gravi sono le responsabilità delle amministrazioni locali e regionali che si sono susseguite in questi anni, compresa l’attuale.
In merito al possibile passaggio della fiera da Bologna a Milano, questo non cambia assolutamente il meccanismo sopra descritto sul piano generale. Appare più un goffo tentativo di spostare il problema in una riproposizione degli aeroplani di Mussolini (nota 1)
Fino a qualche mese fa, interi settori della sinistra di questa città vedevano il Motor Show come un moloch, come il simbolo del male, la pacchiana esaltazione del mercato e della produzione delle due e quattro ruote. E’ interessante osservare che ora è la crisi economica a ridimensionare questo “baraccone”. Ed è proprio sugli effetti della crisi economica e sui tempi di questa che oggi si gioca la comprensione del presente e le relative proposte di rottura di una sinistra adeguata a questa fase.
La critica etica e morale agli attuali assetti produttivi, sociali e urbani sul territorio, non è solamente un’arma spuntata, ma viene triturata dentro i meccanismi della crisi stessa.
Come concludevamo nella nostra inchiesta introduttiva sui cambiamenti socio-economici a Bologna, i tempi della crisi risulteranno centrali per gli effetti di questa sulle fasce popolari e le relative modificazioni urbanistiche e produttive.
I governi centrali come quelli locali non hanno ancora compreso la portata di questa crisi strutturale, e molti miti fondanti degli ultimi 20 anni di benessere relativo sono destinati ad infrangersi.
Il senso del nostro studio e dei prossimi lavori non è quello immediato di trovare soluzioni, e prospettive nuove. Tuttavia già ora non pensiamo assolutamente che le risposte siano da ricercare nel neo-pauperismo del capitalismo verde, in quanto offre una visione miope e riduttiva del presente, e serve solo per garantire a chi già ha abbondantemente distrutto il pianeta, e nel piccolo le nostre città, a garantirsi un po’ di ossigeno per una nuova stagione. I miti della globalizzazione, cosi come quelli del localismo-comunitario vengono oggi sorpassati dalle contraddizioni portate dagli attuali processi di crisi.
Sarà compito delle forze politiche e sociali intervenire dentro le contraddizioni, noi vogliamo contribuire nel trovare una chiave di lettura efficace del presente.
Gruppo di Studio sull’Emilia Romagna
Dell’Associazione Politica e Classe-Bologna
http://politicaeclasse.blogspot.com/
Note
1 Il regime fascista, per sopperire alla incapacità produttiva bellica di aeroplani, e per evitare di demoralizzare la popolazione, spostava i medesimi aeroplani da guerra nelle diverse fiere militari, cosi 20 aeroplani venivano moltiplicati per dieci o per venti alla volta in una settimana. Questa non è una leggenda urbana, ma era raccontato direttamente dagli operai della Caproni (Reggiane) di Reggio Emilia che costruivano questi aerei da guerra. Durante il ventennio la stessa cosa avveniva per altri prodotti, come il bestiame nelle diverse fiere campionarie.
mercoledì 7 ottobre 2009
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