venerdì 19 settembre 2008

Cronache dal profondo nord



Inchiesta/ Prima puntata
Il popolo leghista. Epopea, mito e realtà del “partito del popolo del nord”

di Diego Negri

Un po di storia
La Lega Nord esiste da più di 20 anni ed il simbolo più evidente della nuova “questione settentrionale”. Questo movimento-partito politico a come suo leader indiscusso Umberto Bossi, che già nel 1980 fondava il gruppo autonomista U.N.O.L.P.A. (Unione Nord Occidentale Lombarda per l’Autonomia) realizzando un piccolo giornale chiamato Nord Ovest. Umberto Bossi, vicino al PCI verrà influenzato politicamente alla fine degli anni 70 da Bruno Salvadori segretario del partito autonomista valdostano (Union Valdotaine).
La Lega nasce inizialmente con il nome di Lega Lombarda, ufficialmente il 12 aprile 1984 in uno studio notarile, dove a firmare l’atto costitutivo si ritrovano Bossi e pochi altri leghisti della prima ora. E’ singolare che la nascita di questa formazione sia legata a poche decine di militanti e sostenitori, con uno scarsissimo buget economico iniziale. Alle elezioni europee, nello stesso anno si presenta con una lista denominata “Unione per l’Europa Federalista”, alleanza formata da Lega Lombarda, Liga Veneta, Movimento Piemont. Nel 1985 la Lega Lombarda entra per la prima volta con i propri rappresentanti nei Consigli comunali della provincia di Varese, e nel 1987 elegge un senatore, Umberto Bossi, ed un deputato, Giuseppe Leoni. Nel contempo Bossi continua ad impegnarsi per lo sviluppo di movimenti autonomisti in tutto il Nord, favorendo la nascita dell’Uniun Ligure, della Lega Emiliano-Romagnola e dell’Alleanza Toscana. Spesso la nascita di queste realtà si innesta in tentativi già esistenti, ma con uno ancora scarso radicamento territoriale.
Il 10 febbraio 1991 a Pieve Emanuele (MI), con il primo Congresso Federale, nasce ufficialmente la Lega Nord, costituita dalla federazione fra Lega Lombarda, Liga Veneta, Piemont Autonomista, Uniun Ligure, Lega Emiliano-Romagnola, Alleanza Toscana. In seguito si uniranno anche le altre regioni del Nord: Trentino-Sudtirolo, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Umbria e Marche.
Alle elezioni politiche del 1992 la Lega, dopo aver conquistato gran parte delle amministrazioni locali dell’Italia settentrionale, stravince conquistando un percentuale del 8,7% passando da due ad ottanta parlamentari. Il 13/14/15 settembre 1996 si svolge la prima "Festa dell'autodeterminazione dei popoli padani" dove nasce la Padania. La cerimonia aperta da Bossi si svolge al Pian del Re (CN), alle sorgenti del Po. L'acqua della sorgente viene messa nell'ampolla di vetro, che Bossi avrà con se quando terrà il discorso conclusivo a Venezia dove viene presentata la dichiarazione d'indipendenza e sovranità della Padania, la Costituzione transitoria e la Carta dei diritti dei cittadini padani. Questo evento descritto in modo umoristico dai maggiori organi d’informazione italiani e ridicolizzato dalla sinistra rappresenterà il momento fondativo dell’identità padana del popolo leghista, gettando le basi di una autoctona tradizione storica, con i propri miti e leggende. Non è un caso che il richiamo storico qui è alle popolazioni del nord: i celti, i veneti i liguri schiacciati dall’impero romano e alla tradizione dei Comuni che si battevano contro gli imperi unitari papalini e monarchici.
Nel dicembre 1996 nasce il primo quotidiano della Lega: La Padania, mentre nel 1997 nasce Radio Padania Libera. Anche in questo si assiste ad uno strano fenomeno, il modello del partito-territoriale è in crisi cosi come le sue articolazioni nella società, i quotidiani di partito vengono vissuti come un retaggio ideologico del passato, la Lega invece investe in un suo organo specifico, e in poco tempo diventa uno strumento letto che copre le regioni del Nord, non è difficile trovare oggi in molti bar accanto al quotidiano locale anche il quotidiano della Lega. Un simile fenomeno lo si poteva avere anni fa con l’Unità o Paese Sera. La Padania è un quotidiano rozzo sia graficamente sia a livello di contenuti, è tuttavia semplice nella lettura e ha un nutrito numero di pagine che descrivono l’attività del partito e del movimento popolare leghista sul territorio. E’ un classico giornale per l’agit-prop, pensato per chi lo può leggere mentre prende la metro per andare al lavoro, o nei minuti finali della pausa mensa.

L’araba fenice
Data più volte come esperienza finita ha saputo come una araba fenice in questi anni svilupparsi e rinascere avendo un ragguardevole 7-8% di voto su scale nazionale, con un voto ovviamente concentrato nelle regioni del nord. In questi ultimi anni inoltre sta sviluppandosi anche dopo la linea del Po sfondando nelle ex regioni rosse, che stanno vivendo la fine del loro modello economico-politico.
La Lega è il partito che negli ultimi 15 anni ha portato più giovani in Parlamento. Al contrario degli altri partiti, nell’ultima tornata elettorale non li ha confinati a piè di lista, dove si poteva stare sicuri che non venissero eletti (1). I detrattori dicono che i giovani trovino più spazio nella Lega perché «danno meno problemi», rispettano le gerarchie. In effetti, i giovani della Lega (compresi quelli che entrano in Parlamento) sono poco istruiti, ma rispondono ad un preciso territorio e comunità. Al popolo leghista non interessa tanto la qualità intellettuale dei singoli, quanto al loro rapporto col territorio. È la comunità di appartenenza che li identifica, piuttosto che il loro curriculum e le loro competenze. Per entrare nella Lega come militanti, per aspirare a cariche amministrative o a candidature alle politiche, bisogna prima ricevere il «gradimento» di una comunità di iscritti. Vi è infine la supervisione della dirigenza che nei casi più alti riguarda l’assenso diretto che deve dare il leader Umberto Bossi. Questa scelta non viene percepita come un’imposizione dall’alto perché avviene nell’ambito di una effettiva leaderschip che comanda non solamente in base al potere economico ma in base ad una autorevolezza conquistata negli anni. Bossi è uno dei pochi leader che mantiene con il suo popolo un rapporto di identificazione immediata, ben diverso è il rapporto che esiste tra Berlusconi e il PdL (sucesso imprenditoriale) o Veltroni con il PD (anche se in questo caso vista la babele a sinistra è una forzatura già parlare di leader).
Oggi governa numerose città (a Bergamo e Verona è il partito di maggioranza superando il 30%) e ricopre numerosi incarichi istituzionali e ministeriali.
Accanto al partito si è sviluppata una fitta rete di associazioni e organismi di massa: i Padani nel Mondo, la Guardia Nazionale Padana, SportPadania, Padania Calcio, Associazione Liberi Padani Escursionisti, Padas, Automobil Club Padano, Autisti Padani, Eurocamp, Professionisti-Imprenditori Uniti, Collezionisti Padani, Arte Nord, Cattolici Padani, Centro Culturale "Roberto Ronchi", il SIN. PA. sindacato dei lavoratori padani (2) e i giovani padani. Ha aperto scuole padane e istituito delle istituzioni parallele. Oltre a questo si conta una vastissima rete di sedi e circoli, cosi come di feste e manifestazioni pubbliche padane. Il rapporto tra Partito e movimento e associazioni è strettamente verticale, dove è il piano politico che comanda su tutto. È un partito rivendicativo, con finalità redistributive, che opera anche come un “sindacato del territorio”. Questo rapporto è anch’esso in controtendenza di fronte ai fenomeni politico-sociali attuali, basti pensare che il rapporto tra PRC e CGIL è immediatamente rovesciato a favore del sindacato, cosi come è in molti casi il rapporto tra PRC e Centri Sociali. Non è questa la sede per decidere quale modello è in astratto il migliore, tuttavia è evidente che di fronte a questo contesto la Lega è una delle poche forze in Italia con una forte direzione politica indipendente (3).

La politica padana
La matrice politica della Lega non è riconducibile ad un solo filone politico culturale. E’ un partito nato dentro il disfacimento degli storici partiti di massa italiani: DC, PCI e PSI, che avevano una forte natura “unitaria nazionale”. Le storie politiche dei suoi leader sono le più disparate si va dall’estrema sinistra di un Maroni (ex DP) alla sinistra Bossi (ex PCI) a ex democristiani e liberali ma anche all’estrema destra come Borghezio (ex Giovane Europa, movimento fondato dall'ex SS Jean Thiriart, principale teorico del movimento nazional-rivoluzionario in Europa) o Tosi sindaco di Verona. Il programma leghista si richiama all’indipendenza della Padania e per molti versi si ispira alle elaborazioni di Gianfranco Miglio (1918-2001). Miglio sosteneva la piena legittimità del diritto di secessione della Padania dall'Italia come sottospecie del più antico diritto di resistenza medievale. Miglio è stato un giurista e politico italiano, fu un sostenitore di ipotesi di trasformazione dello Stato italiano in senso federale o, addirittura, confederale. Costituzionalista, fu senatore della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura. Fu militante della Lega Nord, in rappresentanza della quale fu anche senatore, prima di "rompere" con Umberto Bossi e dar vita alla breve stagione del Partito Federalista.

Il feticcio del federalismo
Anche se per molti versi è apparsa “ridicola” l’ossessivo richiamo alla Padania da parte dei leghisti, come entità diversa dall’Italia, la matrice storica-culturale di questa elaborazione in realtà a una sua legittimità storica. L’unità statale italiana, è recente se si paragona alla formazione statale dei principali stati europei, inoltre la storia politica unitaria non è priva di contraddizioni: il processo unitario rappresento per molti versi la piemontizzazione del Nord Italia e successivamente l’annessione forzata del sud al nord. E’ significativo osservare che al di la della retorica risorgimentale vi fu sempre una diversa percezione del processo unitario tra Piemonte, Lombardia e Veneto. L’intellighenzia lombardo-veneta, delegò il processo unitario alla monarchia sabauda, ma non rinunciò alla sua peculiarità regionale. E’ interessante analizzare il processo di formazione dell’intellighenzia lombarda, come ad esempio Carlo Cattaneo, che nutriva una scarsissima simpatia per la società sabauda e per le sue istituzioni, ma era consapevole dei ritardi della società lombarda rispetto al Nord Europa (visto all’epoca come faro di civiltà e progresso), e questo progresso lo si poteva raggiungere solo attraverso una indipendenza italiana nei confronti delle monarchia asburgica. Per fare questo era necessaria la forza militare e la capacità politica della monarchia sabauda.
Queste divisioni assumeranno contorni ben più ampi, se si analizza l’unificazione italiana, e le problematiche tra settentrione-meridione, dove per molti versi si assistette ad un vero e proprio spirito coloniale settentrionale. Per molti versi l’epoca risorgimentale che si fa chiudere con l’unità d’Italia, andrebbe considerata come un risorgimento settentrionale, dove al suo interno agivano diverse forze tra loro contrapposte, ma con un obiettivo comune: agganciare l’Italia al “progresso” del nord Europa. Obiettivo comune che si espliciterà ancor più nella conquista del meridione
La sinistra italiana ha dovuto fare sua la storia unitaria, in quanto rappresentava oggettivamente un livello di sviluppo per la società e classi italiane, tuttavia questo a misconosciuto gli strappi e le lacerazioni che questo processo unitario creava, basti pensare alla sottovalutazione del fenomeno del brigantaggio e il suo carattere duplice (reazionario ma al tempo stesso resistente). Autori come Gramsci coglieranno la drammaticità e ambivalenza del fenomeno di quello che fu il brigantaggio, e le relative diverse italie. Tuttavia la storia italiana dall’inizio del secolo ha avuto tratti cosi fortemente unitari che queste considerazioni apparivano ormai “storicizzate” o considerate unicamente sotto il profilo del ritardo di sviluppo economico. Il fascismo e successivamente l’arco partitico costituzionale nato dopo la lotta contro il nazifascismo, impresse ancor più una dimensione unitaria, favorito anche da un progresso economico, che massificava la cultura, i costumi e i consumi. Bisogna tuttavia ricordare come anche dentro i movimenti di liberazione partigiani conviveva una spinta anti-unitaria, non qui intesa come anti-italiana, ma come considerazione di una molteplicità di italie. Numerose repubbliche partigiane e brigate controllate dai comunisti, del Nord Italia, auspicavano una suddivisione dell’Italia, con un nord che guardasse ad est e un sud ad ovest.
La fine della cosiddetta Prima Repubblica e il disfacimento dei partiti (che coincide anche con il disfacimento del blocco ad est nell’89) ridisegna un nuovo contesto politico in Italia. Accanto a questo vi sarà un profondo stravolgimento economico, che porterà alla fine del triangolo industriale classico e ad una serie di nuove forze economiche come nel caso del nord-est. Sul piano internazionale l’estensione dell’imperialismo con una nuova competizione globale provocherà fenomeni di difesa comunitaria, in quanto la competizione globale creerà tempi sempre più ridotti nel produrre, consumare e distruggere merce e risorse.
La Lega quindi nasce in questo contesto, rifacendosi ad un modello antiunitario e ponendosi a difesa di merci e persone di fronte alla velocità del sistema di produzione capitalista attuale.
Difesa che non per forza di cosa sarà declinato nell’essere “contro” ma nel garantire uno sviluppo ad una imprenditoria e società che dentro una dimensione globale rischia di essere travolta. Se l’Italia unita garantiva un tempo un doloroso ma necessario sistema per il benessere economico politico locale, oggi aprendosi una competizione globale su più livelli può essere possibile trasformarsi in entità economiche-politiche più piccole, che attraverso un partenschip con paesi più grandi e non necessariamente l’Italia, garantiscono un più rapido sviluppo e benessere, ciò è in sintesi il credo leghista di fronte alla competizione globale..
Il sentimento contro il relativo stato unitario, era legato a quello che rappresentavano i partiti nazionali: inefficienza, ruberie, e una politica centrale spesso visto con diffidenza in quanto non se ne coglieva la declinazione locale (4). E’interessante osservare come in regioni bianche o legate al centro-sinistra (DC-PSI) vi sarà un travaso di voti e identità per la Lega da parte di quegli stessi dirigenti che anni prima avevano militato nei rispettivi partiti nazionali, ma rimasti sempre ai margini delle grandi scelte nazionali. Inoltre vi era una rivincita della politica sull’economia, nata proprio negli anni della repubblica, in una suddivisione che vedeva nel nord l’inteligenza della economia italiana e al centro-sud la politica. Per il popolo leghista era finita la necessita di avere partiti unitari nazionali in chiave atlantista, visto la dissoluzione dei paesi dell’Est. Era quindi divenuta insopportabile il primato della politica al centro-sud in quanto non aveva a differenza del nord una economia che la sosteneva dentro la nuova competizione globale.

Dai terroni agli extracomunitari. Il viraggio dell’odio
L’odio contro i meridionali, e contro Roma, tuttavia si smorzerà, per dirigersi verso l’odio e paura verso gli extracomunitari. Questo facilitato dal cambiamento della composizione di classe nel quadro operaio e delle basse qualifiche. Se un tempo era il meridionale quello che veniva a lavorare al nord, oggi è l’operaio extracomunitario, e qui la Lega da piena rappresentanza alle lamentele degli operai del nord schiacciati dalla concorrenza degli extracomunitari.
In questo caso il passaggio è indolore, in quanto se con i meridionali, si cozza contro uno stato unitario, e con nuovi partiti nazionali (con cui si organizzavano alleanze), con gli extracomunitari si può individuare un nemico alla portata di tutti semplice e facile su cui indirizzare una propria campagna identitaria.
Un operaio meridionale, si poteva trasformare in un leghista, e quando non lo diventa lo si può trattare alla pari in quanto cittadino di un medesimo stato nazionale o di un possibile stato alleato. Gli extracomunitari sono invece esterni alla comunità e anche quando lavorano sono considerati esplicitamente lavoratori al servizio della ricchezza del popolo padano, che in cambio gli da la possibilità di lavorare nella propria comunità. Il passaggio è evidente, se un meridionale alla peggio era un “terrone” in quanto figlio di un'altra Italia un extracomunitario è uno schiavo o moderno servo della gleba. Possono esistere delle similitudini drammatiche nel trattamento dei meridionali al nord negli anni 50-60 con quello che passano ora gli extracomunitari, tuttavia la loro condizione è inferiore in quanto non sono neppure cittadini del medesimo stato. Rispetto al problema dei meridionali al nord erano gli stessi partiti nazionali di destra-centro-sinistra a smussare le differenze e a mettere al centro sempre la dimensione nazionale, riuscendo a incanalare le diverse Italie in un'unica, magari attraverso programmi e fini diversi ma che raggiungevano il medesimo scopo.
Oggi per esempio gli extracomunitari sono tutti mussulmani, anche quando sono rumeni e cattolicissimi. Questo è un effetto della competizione globale che inasprisce i contorni dell’identità culturale delle aree del pianeta. Rendendo le zone ricche sempre più aggressive di fronte al manifestarsi di una polarizzazione sempre più drammatica e crudele. Cementificando un rapporto interclassista tra le comunità che vivono nelle zone del pianeta più ricche.
La Lega a quindi in se più soggetti: l’imprenditore del nord est (spesso ex operaio) l’operaio qualificato del nord, il libero professionista schiacciato da una burocrazia e da un sistema contributivo che non gli permette di utilizzare in pieno il suo capitale, il pensionato non più garantito da uno stato sociale sempre più assente, il giovane disgustato da una incomprensibile divisione tra destre e sinistra e spesso precario, la casalinga di Voghera spaventata da donne che vestono strani abiti.. Qui sta forse l’elemento centrale di quello che è stato il successo della Lega, l’essere un moderno partito popolare che fa convivere varie fasce sociali al suo interno ma pone al centro la dimensione della tradizione popolare. L’imprenditore anche quando a 1000 dipendenti è un operaio che produce per la Padania, la velina che partecipa a miss padania non è “una leggera” ma una ragazza che rende più bella la sua terra, poi anche se questo non è vero, ed è solamente uno specchio ideologico, tiene comunque, perché si basa su quella cementificazione di interessi di una determinata comunità che si sente accerchiata da chi sta peggio di lei.

Un moderno partito popolare di estrema destra
La Lega è riuscita a rendere attuali le più feconde elaborazioni del fascismo e del nazional-socialismo tedesco, non qui inteso come spinta unitaria, potenza imperiale romana, o di una superiorità della razza, ma nella capacità di essere un moderno partito di estrema destra di massa, che non è più una accozzaglia di nostalgici e difensori di un metafisico ordine, ma di una determinata comunità (5). Di fronte poi ad una sinistra che ha abdicato al principio dell’interesse di classe, inteso come interesse della solidarietà tra lavoratori, per sposare etica dei diritti indefiniti, questo fa si che intere fette di lavoro salariato al nord guardino con interesse alla Lega. Oggi si può dire che non è la CGIL che ha molti tesserati della Lega, ma sono i leghisti che hanno molte tessere sindacali della CGIL.
Il ritardo con cui la sinistra di classe si è posta di fronte alla nuova magmatica composizione di classe e alle fasce immigrate a favorito questa dimensione comunitaria tra le fasce popolari. Non è raro sentire dire che interi settori sociali si possono lasciar stare perché non possono essere organizzati, questo indirettamente è un invito a cementificare tra la comunità locale popolare nuovi muri. Se la solidarietà e l’unione di classe non vengono incanalate dentro una dimensione di utilità sicuramente rende più facile per una forza comunitaria prendere il sopravvento.
La Lega è riuscita a passare indenne anche da tangentopoli, anzi ne rappresentò una delle formazioni che più gioverà del clima giustizialista, la cosa può apparire contraddittoria, in quanto anche la Lega era caduta dentro le reti del pool di mani pulite, ma non ne riceverà nessun danno, in quanto percepita come forza nuova e pulita che si batteva contro la vecchia politica, vicina ai cittadini e al territorio. La stessa campagna di Grillo e contro la casta ha reso ancor più forte la Lega, che pur dovendo in alcuni casi distinguersi da queste tematiche, in quanto alleata con forze partitiche unitarie, al suo interno ne condivideva lo spirito iconoclasta.
Pur conservando una spinta secessionista e antimondialista, e mantenendo inalterata una vocazione eversiva, che affiora anche in modo goffo attraverso il richiamo alle armi e alle guardie padane, la Lega si è adeguata ad uno scambio politico tra determinate forze nazionali del paese, riuscendo a mettere al centro del dibattito nazionale il federalismo. Avviene cosi uno strano fenomeno, da un parte abbiamo una maggiore capacità di penetrazione dentro lo stato unitario dei ministri e figure istituzionali leghiste (oggi hanno addirittura il controllo di una rete televisiva nazionale) ma al tempo stesso si mantiene quella identità forte e popolare che fa si che la Lega sia sempre vista come “rivoluzionaria” rispetto al consociativismo dei partiti perché ancorata alla sua base sociale e alla sua comunità territoriale. Sul suo organo si attaccano gli operai che organizzano picchetti, si difendono i crumiri, in nome di un popolo che lavora che vuole produrre ricchezza. E se esistono contraddizioni queste sono legate alla voracità del “mondialismo”o ai nuovi barbari gli extracomunitari “non cittadini”.

Noi e loro
Oggi si potrebbe dire che il peggior prodotto del leghismo è l’antileghismo, ossia l’incapacità di vedere come possa esistere una forza di destra popolare in Italia. La sinistra ha perso da diverso tempo la sua forza egemonica, e ragiona ancora con schemi del passato che portano a vedere con ironia il fenomeno Lega, non accorgendosi che questa formazione è la punta di un iceberg, che attraversa le principali forze nazionali del paese nel settentrione (6). E’ paradossalmente la parte più consapevole del paese che accetta la nuova fase imposta dalla competizione globale assumendosi tutte le necessarie scelte radicali: dalla guerra economica a quella di civiltà. Non è un caso che indirettamente il maggior teorico del governo di centro destra sia uno dei maggiori punti di riferimento della Lega: Giulio Tremonti, personaggio che maggiormente incarna lo spirito che combina protezionismo popolare e strategie generali internazionali per il paese.
La semplicità degli slogan e la rapidità con cui si manifesta il programma della Lega vanno di pari passo con la creazione di un nemico accessibile a tutti: gli immigrati e un mondialismo di cui non se ne capiscono i vantaggi sul piano locale. Ovviamente assistiamo ad un programma contradditorio, visto che è proprio grazie ad una nuova competizione globale che regioni come il nord est si sono sviluppate, o è proprio grazie alla forza lavoro immigrata e al precariato (favorito anche dalla Lega) che si crea il Nord nella sua ricchezza, tuttavia queste contraddizioni sono ancora oggi governate dentro il progetto di una Padania libera, troppo accerchiata dai nemici interni ed esterni per essere vista in modo ambiguo dal popolo leghista. In nome dello slogan di Padania Libera si accettano i compromessi i sacrifici anche di fronte agli stessi giovani precari leghisti. Questa esperienza non è destinata a sparire ma a svilupparsi ulteriormente in quanto la situazione sociale ne garantisce una naturale crescita. Oggi per la sinistra di classe è opportuno ragionare di come esista e si sviluppi sul terreno popolare una dimensione di classe di destra, che rifugge dalle vecchie ideologie e sa declinare secondo il suo programma le tensioni e contraddizioni che attraversa il nord oggi. Contrastare oggi la Lega vuol dire non accusarla perché rozza, ma saper mettere in contraddizione la sua base, di organizzare e dare forza e identità a quello che per un lavoratore leghista è visto come il nemico, e dimostrare sul terreno di classe che la forza del suo nemico può diventare una sua forza futura. Inoltre è opportuno rimettere al centro la questione geopolitica, in quanto solo attraverso una seria analisi dei processi internazionali si capisce la debolezza di un programma politico che vuole dividere uno stato nazionale o declinato trasnazionalmente come nel caso europeo o mediterraneo.

Note
1)La diffusione della Lega tra i giovani è un fatto ormai conclamato in tutto il Nord Italia, gli stessi gruppi giovanili di estrema destra hanno dovuto iniziare ad intavolare un rapporto con le organizzazioni giovanili padane, in quanto rischiavano di essere completamente assorbite. Il caso più evidente è il gruppo dirigente veronese con alla guida il sindaco Tosi, che è riuscito ad assorbire dentro la Lega la variegata estrema destra giovanile veronese. La presenza di giovani nel gruppo dirigente leghista è inoltre una dimostrazione immediata di novità di fronte all’età media della politica Italiana, che molte spesso si basa su quadri nati politicamente tra gli anni 60-70.
2)Dal programma manifesto del Sin. Pa.: “Ci stanno portando via le "nostre" aziende, stanno cancellando il nostro passato ed offuscando il futuro.”. Siamo di fronte ad un nuovo modello sindacale basato sulle corporazioni dove esiste un forte collegamento tra il piccolo imprenditore e le maestranze operaie, in quanto ambedue schiacciate dalla competizione globale
3)Nelle nostre elaborazioni spesso abbiamo indicato come il piano sociale sia più avanzato del piano politico, ma se questo è vero nella realtà, è anche un sintomo della nostra debolezza intesa come sinistra di classe. Ci si può difendere e dare organizzazione ma anche di fronte ad una crescità numerica organizzativa del blocco sociale antagonista se questa va di pari passo con un arretramento generale sul piano dei rapporti di forza, non offre nessuna possibilità di sviluppo. Oggi di fronte ai processi di crisi economici e geopolitica e al magmatico cambiamento della composizione di classe siamo ancora incapaci di offrire una prospettiva credibile di sviluppo. Un simile tentativo, anche se ancora embrionale, si sta ponendo oggi invece, tra la sinistra sud americana e asiatica.
4) Dimenticandosi che per molti versi il “progresso” del Nord era figlio di quello che fu la spinta unitaria e coloniale del Nord rispetto al Sud Italia.
5) Vi sono forti analogie, anche se bisogna relativizzare il periodo storico, con l’impianto delle Sturmabteilungen (squadre d’assalto più note come SA) le prime organizzazioni d’azione dei gruppi nazisti. Le SA contavano tre milioni di uomini ed erano soprannominate Beefsteak (bistecca - nera fuori, rossa dentro), perché ne facevano parte numerosi ex socialdemocratici ed ex comunisti, il loro programma era rigidamente nazional-socialista, fortemente protezionista in chiave economica e contrario all’allora mundialismo, mettevano in discussione la direzione monarchica che aveva portato la Germania alla guerra e si ponevano come neutralisti da un punto di vista internazionale.
Solo in un secondo periodo con il mutare posizione del Partito Nazista rispetto ai gruppi dirigenti economici militari tedeschi la SA verranno distrutte militarmente dalle SS anch’esse del Partito Nazista nel 1934. Una dimensione reazionaria-rivoluzionaria fortemente localista e comunitaria si è già data e come un tempo a riscosso numerosi consensi tra le fasce popolari e tra gli stessi militanti di sinistra. Questo risponde ad una oggettivo comportamento che può avere la massa popolare, in un periodo di rivolgimenti e di cambiamenti socio-economici. Spesso la sirena della conservazione locale è quella che garantisce la propria sopravvivenza immediata. Lo stesso proletariato nel suo oggettivo difendersi nella lotta di classe agisce anche come forza che vuole conservarsi, non è un caso che lo spostamento dei rapporti di forza tra le classi è implicitamente un negare da parte dei proletari stessi la propria condizione di sudditanza. In questo senso la Lega Nord è un partito per la conservazione popolare e per molti versi per una conservazione proletaria autoctona. E’ capitato a molti compagni di incontrare semplici militanti o quadri leghisti o ex leghisti non pentiti intervenire e partecipare a favore della mobilitazione per il No dal Molin, perchè vissuta come difesa della propria comunità anche sotto uno spirito antimondialista, ricordando che anche la Lega si era opposta alla guerra in Serbia.
6)All’ultima Festa dell’Unità a Bologna l’incontro che maggiormente a destato interesse e partecipazione è stato quello tra il sindaco Tosi e Cofferati, senza ironia il segretario della Federazione Locale della Lega in Emila parlava del loro partito come il vero PCI, ossia la vera forza che rappresenta oggi gli interessi popolari in Italia.

mercoledì 17 settembre 2008

Il Nord e la Padania. L'Italia delle regioni


Il Nord e la Padania. L'Italia delle regioni

di Mainardi Roberto


Editore Bruno Mondadori 2008


Questo studio, riproposto a diversi anni dalla sua prima pubblicazione, non solo testimonia l'intelligenza storica di Roberto Mainardi, ma conserva anche intatta la capacità di inquadrare le problematiche di quest'area all'interno della nuova geografia dell'Europa delineatasi con la fine del bipolarismo: una premessa fondamentale per comprendere la "questione settentrionale che si è inserita con forza nell'agenda politica italiana all'inizio degli anni novanta. Della grande regione padano-alpina, area forte dello spazio economico europeo, in posizione di cerniera fra l'Unione e il Mediterraneo, vengono individuati i lineamenti geografico-economici, la matrice storica di uno sviluppo territorialmente molto differenziato e i rapporti di cooperazione e competizione fra grandi poli terziari, distretti industriali, zone turistiche agricole. La competitività internazionale e il benessere diffuso sono fenomeni recenti, soprattutto nella Padania nordorientale, ma l'organizzazione attuale del territorio affonda le sue radici in più di venti secoli di storia, di cui edifici monumentali e paesaggi sono testimonianze visibili ed elementi fondanti di identità a cui le sfide del XXI secolo restituiscono vitalità.

mercoledì 10 settembre 2008

La questione settentrionale. Economia e società in trasformazione


Editore: Giangiacomo Feltrinelli Editore Luogo di edizione: Milano Collana: Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Pagine: XXX - 466 Anno di pubblicazione: 2007

Il libro
Al passaggio del secolo, la “questione settentrionale” si è imposta come un tema ricorrente e centrale dell’agenda politica italiana. Attualizzata periodicamente come un’emergenza nazionale, essa affonda in realtà le proprie radici in una diversificazione territoriale sedimentatasi nei secoli, che ha reso il Nord d’Italia l’area del paese più strettamente integrata con l’Europa e ne ha fatto il maggiore protagonista del processo di sviluppo.
I saggi, gli studi e le interpretazioni del sistema economico e sociale dell’Italia settentrionale presenti in questo “Annale” propongono una lettura complessiva, del quadro attuale, ma anche delle lunghe premesse della “questione settentrionale”. Da un lato, il volume si misura con le specificità storiche del territorio, con le dinamiche evolutive che ne hanno guidato la crescita, con i mutevoli confini della sua geografia politica. Dall’altro, presenta il tentativo organico di analizzare la fase più recente di una trasformazione tuttora in atto. Documenta con ampiezza e originalità i mutamenti in corso nella struttura economica, che stanno modificando i lineamenti del modello di capitalismo, insieme con i profili dei soggetti sociali che lo animano. Scandaglia in profondità i cambiamenti morfologici e di strategia degli agenti economici e i differenti assetti cui la loro variazione sta conducendo. Imprese industriali e banche, lavoro dipendente e lavoro autonomo, sono gli attori di un complesso itinerario che non modifica soltanto il paesaggio materiale e sociale del Nord, ma altera i fondamenti stessi della crescita che ha sorretto la storia d’Italia nel Novecento.

Indice del volume
Giuseppe Berta , Il Nord Italia: una trasformazione in attoLuciano Cafagna, La questione settentrionale nell’Italia contemporanea: un’autointervista Giorgio Bigatti, Marco Meriggi, I mutevoli confini storici del NordEdmondo Berselli, La costruzione geopolitica del Nord e l’espulsione dell’EmiliaAldo Bonomi, Vie italiane al postfordismo: dal capitalismo molecolare al capitalismo personaleGiampaolo Vitali, Gli indicatori della trasformazioneCristiano Antonelli, Pier Paolo Patrucco, Francesco Quatraro, Transizioni tecnologiche e modelli economiciFabio Lavista, Il declino della grande impresaAldo Enrietti, L’industria dell’auto fra crisi e trasformazionePaolo Bricco, Dalla crisi della grande impresa all’imprenditorialità diffusa: la Olivetti e l’EporedieseFulvio Coltorti, Un nuovo protagonista economico: la media impresaGiandomenico Piluso, Nuovi circuiti finanziari e sistema bancario