Inchiesta / seconda puntata*
La “questione settentrionale” cenni storici
Dopo la prima puntata dedicata al fenomeno politico-sociale leghista, continuiamo questo percorso interno alla questione settentrionale.E’ ormai da 20 anni che si parla della “questione settentrionale” come fenomeno politico nazionale. La “questione settentrionale” esplose dentro le profonde mutazioni geopolitiche ed economiche alla fine degli anni 80. Cambiamenti che ovviamente avevano una radice più antica (1), ma che si manifestarono in tutta la loro ampiezza con il disfacimento della cosiddetta prima repubblica. La questione settentrionale è oggi posta sullo stesso piano della questione meridionale, e addirittura la sorpassa per importanza rispetto all’opinione pubblica, anche grazie alla nascita di movimenti politici che si sono fatti portatori di questa istanza. Questi movimenti che possiamo definire di “destra”(2) hanno di fatto accelerato un processo ormai in atto, travolgendo in gran parte i vecchi paradigmi di sinistra o in alcuni casi sussumendoli. Il punto su cui questa questione settentrionale assume maggior rilievo è la divisione che esiste tra produttori e non-produttori, produzione che non va letta unicamente sotto il profilo industriale ma di sviluppo e ricerca. In questo senso la questione settentrionale rompe con la dimensione unitaria nazionale, non sopportando più le diverse velocità del paese, e non vergognandosi più del suo potere e benessere diffuso, anzi questo elemento viene messo al centro di una strategia dentro un nuovo contesto geopolitico mondiale: il benessere va difeso con ogni mezzo necessario, a costo di ridisegnare gli equilibri geopolitici nazionali. Basta pensare che oggi il premier della Repubblica italiana è prima di tutto un milanese, e dopo un italiano. In quanto milanese può amare Napoli, Bari, la Sicilia e anche Roma, ma rimane comunque un milanese. Questo può apparire una valutazione semplicistica ma in realtà offre un chiaro esempio di quella rottura che c’è stata nel paese, dove il potere politico era essenzialmente unitario e dopo si ramificava nel territorio, oggi questo è invertito. Non è un caso che i maggiori deficit di consenso politico esistano proprio a sinistra e in alcune formazioni di destra che ancora oggi hanno uno schema unitario. Lo stesso dibattito che attraversa il PD è sintomatico, posizioni come quella di Cacciari, sono forse minoritarie sotto il profilo organizzativo, ma hanno un indiretto appoggio di tutto l’arco amministrativo del PD del nord. Il filosofo-sindaco di Venezia è da diverso tempo che si pone il problema di ridisegnare una strategia per la “sinistra” del nord, sotto il suo influsso rientrano le recenti torsioni dell’area dei centro sociali del nord est, che hanno di fatto teorizzato una “lega di sinistra”, non è raro vedere sventolare sui centri sociali del nord est bandiere rosse…ma con il simbolo del leone di San Marco.
La dicitura specifica di “questione settentrionale” è in realtà nata anni fa. Fu creata polemicamente in contrapposizione alla dominante “questione meridionale”. Un primo elemento del perché si iniziò a parlare di una questione settentrionale fu il problema della disoccupazione, che era visto sotto il profilo squisitamente unitario e quindi con una lettura “meridionale”. La disoccupazione veniva considerata “strutturale”, ma sarà proprio lo sviluppo del nord a rompere questo meccanismo attraverso il boom degli anni 60. Ricerca e formazione di manodopera, immigrazione e congestione urbana, nuove esigenze di dotazioni infrastrutturali, le prospettive del macchinismo e dell’ “automazione” porteranno a sovvertire gli stessi termini della “questione meridionale” vista essenzialmente come “questione agraria” ossia legata alla redistribuzione della terra. Se esisteva ed esiste una macroscopica questione meridionale in Italia, questa ha però falsato o reso parziale il piano di lettura per le modificazioni al nord. Un esempio è il flusso negli anni 50-60 dell’immigrazione meridionale e ciò che comportò nel tessuto autoctono settentrionale e nelle rispettive culture e organizzazioni politiche e sociali. Nella versione più attenta della sinistra il cambiamento era visto con gli occhi di chi arrivava e non di chi vedeva l’arrivo, questo meccanismo era per lo più legittimo in quanto erano proprio quelle fasce sociali immigrate che davano gambe allo sviluppo del nord e anche sotto il profilo squisitamente di classe erano le dirette avanguardie del cambiamento sindacale e politico. Tuttavia il non aver analizzato lo sguardo di chi vedeva arrivare ha fatto si che alcune contraddizioni siano rimaste sottotraccia, ma non sopite, e sono bastati alcuni anni perché queste riemergessero. Contraddizioni che hanno inglobato i precedenti flussi e hanno prodotto una nuova comunità sociale del nord, dove non è ovviamente sul piano razziale che si trova il principale legame, ma in quello produttivo e di sviluppo legato ad un preciso territorio.
Troppo spesso la ricerca rispetto alla questione settentrionale è stata misconosciuta dalla sinistra e dai marxisti. Gli intellettuali e i gruppi che si porranno il compito di investigare la questione settentrionale saranno pochissimi, e spesso osteggiati dai grossi blocchi politici . Possiamo ricordare il contributo della rivista “Ragionamenti”, un gruppo di intellettuali cresciuti sotto l’influenza di Adriano Olivetti, Successivamente fu Giangiacomo Feltrinelli a promuovere un Centro di Ricerche Economiche, irritando lo stesso leader del PCI Palmiro Togliatti, centro che iniziò ad approfondire la nuova realtà di sviluppo e trasformazione industriale e tecnologica del Nord Italia. In questa breve carrellata non possiamo non ricordare il contributo di Raniero Panzieri e il gruppo intorno a lui i Quaderni Rossi, che diedero dentro il nuovo contesto industriale del nord Italia nuove teorizzazioni ideologiche per la nascente nuova sinistra. Un autore nato dentro questo nuovo contesto di ricerca fu Danilo Montaldi (3). Montaldi fu un politico e un ricercatore eretico. Fu uno dei pochi autori della nuova sinistra nato dentro la cultura politica della sinistra comunista italiana e dalle correnti neo-consiliari francesi (4). La sua lente di ricerca era rivolta verso quel macroscopico mondo post contadino che viveva nelle province. Non era quindi unicamente la metropoli, la grande industria del nord ad essere analizzata ma le valli, gli uomini del Po, le piccole cittadine della val padana (5). Vi sono almeno due libri che in modo superlativo descrivono con gli occhi del nord i cambiamenti e le mutazioni in atto nel paese negli anni 50-60: Autobiografie della leggera(6), e Militanti politici di base(7). I due testi sotto il profilo squisitamente statistico non possono essere considerati scientifici, tuttavia vi è una capacità di lettura profonda dei mutamenti in atto, attraverso la viva voce dei protagonisti. Vengono descritti, nei due libri, i diversi atteggiamenti di fronte alle modificazioni repentine del nord, con la relativa rottura delle precedenti comunità sociali e politiche. I protagonisti dei due saggi sono gli emarginati dai cento incerti mestieri e dall’esistenza precaria, sono i militanti politici della bassa padana, contadini e operai inseriti in piccole unità produttive. Scriviamo questo non perché innamorati della memoria storica del nord, ma perché vi è stato un miope atteggiamento della sinistra che basandosi unicamente sulla “questione meridionale” si batteva per riannodare i fili della storia di classe del sud Italia, difendendo le tradizioni più nobili di tale terra, ma lasciava praticamente cadere nel dimenticatoio lo stesso fenomeno che avveniva al nord. La difesa dei dialetti, della cultura contadina veniva vista come “difesa di classe” unicamente sotto il profilo meridionale.Non è un caso che i fenomeni recenti di politicizzazione della questione settentrionale non partano dalla grandi città metropolitane, che hanno di fatto centrifugato tutto e tutti, ma dalle valli e dalle diverse “basse”. Inoltre queste zone “periferiche” hanno visto negli ultimi anni un poderoso sviluppo produttivo, di fronte ad una contrazione delle zone propriamente metropolitane del vecchio triangolo industriale (GE-TO-MI) creando una vera e propria “megalopoli padana” dove tuttavia la velocità di immagazzinamento e omologazione di una città metropolitana è diluita in un territorio più vasto smorzandone gli effetti. L’importanza economica e politica di una simile area creava quindi il presupposto per lo sviluppo di una nuova tensione settentrionale.E’ in questo senso che riappare dentro la questione settentrionale il problema non unicamente simbolico dell’identità. Dentro questo nuovo spazio, la “megalopoli padana”, acquisisce importanza la tradizione e le diverse anime del nord. Tutto questo sarà di fatto raccolto quasi unicamente dalla “destra” nel nostro paese.
Un discorso a parte meriterebbe l’analisi del PCI sulla questione settentrionale, e nello specifico rispetto alla problematica emiliana. Togliatti attraverso l’Emilia, renderà pratica la sua “via italiana al socialismo”. Non è nostra intenzione dare un giudizio sulla bontà di questo progetto, ci interessa in questa sede osservare come di fronte ad un determinato territorio il PCI svilupperà una sua originale via al socialismo.Tuttavia il PCI rimarrà rispetto alla questione settentrionale complessiva schiacciato dentro la dinamica della questione meridionale e al massimo studierà i fenomeni dentro le metropoli del nord, spesso rincorrendo sul piano teorico la nuova sinistra italiana, nata per lo più dentro la sinistra socialista. Non avrà la capacità di analisi complessiva rispetto al mutamento delle diverse Italie. Questo ritardo lo pagherà caro sia nei convulsi anni 70 sia nello scioglimento della sua esperienza alla fine degli anni 80. L’Emilia invece rappresenterà una anomalia rispetto al piano d’analisi del PCI riuscendo a teorizzare un modello che gli sopravviverà, anche se è ormai in fase calante. Ci ripromettiamo nella terza puntata di “cronache dal profondo nord” di investigare nello specifico la questione emiliana.
Recentemente di fronte ai bruschi mutamenti politici e produttivi del paese e nello specifico del nord Italia è apparsa una nuova letteratura rispetto alla questione settentrionale. Il testo che maggiormente ha riscosso successo, almeno negli ambiti di sinistra, è il saggio di Aldo Bonomi: Il capitalismo molecolare. La società al lavoro nel Nord Italia (8). Attorno a questo ricercatore si è creata tutta una schiera di autori, che hanno iniziato a descrivere la fine del triangolo industriale e lo sviluppo della “megalopoli padana”. Il libro offre spunti interessanti e per molti versi corretti rispetto ai cambiamenti in atto e alle nuove figure sociali e comunitarie che si andavano a costituire nel nord, ha tuttavia un grosso difetto di fondo. Non è una ricerca sulle contraddizioni in atto, ma una celebrazione di questi cambiamenti. Questa testo uscì all’inizio degli anni 90 dentro un contesto contraddistinto da una feroce campagna liberista, sulla spinta della new economy, che metteva al centro del suo ragionamento la fine della storia e quindi della lotta di classe. Si creò l’illusione di un mondo sempre più pacificato e si prevedeva l’avvento di una ridistribuzione economica grazie alle possibilità del mercato finanziario. La cosiddetta epopea del “piccolo e bello” del popolo delle partite iva prese a nuovo soggetto di cambiamento ha di fatto dato forza unicamente a gruppi politici che, dentro una visione neo-comunitaria, hanno sviluppato nuove forme di razzismo e neo-colonialismo, desiderose di difendere il proprio a scapito dell’altro. L’aver posizionato la lente d’inchiesta su un contesto preciso ha fatto dimenticare il contesto mondo su cui questi processi avvenivano e le relative controtendenze. Non è un caso che oggi siamo di fronte ad un silenzio imbarazzante rispetto ai processi di crisi in atto dentro la megalopoli padana. In questo senso la questione settentrionale ha liberato gli “spiriti animali” sopiti per anni, ma sempre presenti dentro la società italiana. La storia del popolo delle valli e del grande fiume si è tramutata in un arma per esercitare il diritto a mantenere il potere e un benessere economico nato anche grazie allo sfruttamento selvaggio di altre zone.
Oggi dentro a nuovi e sempre più veloci cambiamenti geopolitici dovuti ad una sempre più pressante crisi finanziario-produttiva è colpita anche la megalopoli padana, questo mentre vi sono profondi mutamenti nella composizione sociale, basti pensare ai nuovi flussi migratori e alla precarietà diffusa.La questione settentrionale tuttavia non può essere accantonata, in quanto oggi si gioca un partita importantissima dentro questo contesto territoriale, che rappresenta ancor oggi la parte più ricca del paese. Non basta difendere lo Stato di fronte agli “spiriti animali”, in quanto alcune delle contraddizioni emerse sono profondamente reali, ma bisogna riuscire a porsi il compito di cementificare l’unità delle fasce popolari attorno a progetti e organizzazioni che mettano al centro lo sviluppo di una nuova via pubblica e in questo la nefasta utopia del piccolo è bello va abbandonata nel museo della storia. Per almeno un decennio c’è stata da parte della sinistra una mitologia attorno a questo slogan, ampliata dal fenomeno zapatista, oggi lo stesso continente sud americano ci pone di fronte a nuove sfide attraverso la nascita di nuove dinamiche trasnazionali come dimostra il laboratorio degli Stati che hanno fatto proprio lo slogan del socialismo del XXI secolo. Parliamo di questo non per accontentarci di modelli precostituiti, ma come esempio di come le contraddizioni devono essere risolte su un piano generale e non meramente comunitario. Può essere azzardato un simile parallelismo, ma ci sembra che possa cogliere nel segno, rispetto ad un certo atteggiamento della sinistra, qui intesa nelle sue varie sfaccettature, nel provare a governare la complessità del presente. Bisogna riuscire a scoprire e intervenire dentro tutti quei momenti dove si materializza una nuova dimensione di classe che rompe con il particolarismo e pone sul piano degli interessi immediati una nuova cementificazione e organizzazione di classe. La sfida che oggi pongono le principali forze del sindacalismo di base e sociale oggi in Italia va in questa direzione.
La dicitura specifica di “questione settentrionale” è in realtà nata anni fa. Fu creata polemicamente in contrapposizione alla dominante “questione meridionale”. Un primo elemento del perché si iniziò a parlare di una questione settentrionale fu il problema della disoccupazione, che era visto sotto il profilo squisitamente unitario e quindi con una lettura “meridionale”. La disoccupazione veniva considerata “strutturale”, ma sarà proprio lo sviluppo del nord a rompere questo meccanismo attraverso il boom degli anni 60. Ricerca e formazione di manodopera, immigrazione e congestione urbana, nuove esigenze di dotazioni infrastrutturali, le prospettive del macchinismo e dell’ “automazione” porteranno a sovvertire gli stessi termini della “questione meridionale” vista essenzialmente come “questione agraria” ossia legata alla redistribuzione della terra. Se esisteva ed esiste una macroscopica questione meridionale in Italia, questa ha però falsato o reso parziale il piano di lettura per le modificazioni al nord. Un esempio è il flusso negli anni 50-60 dell’immigrazione meridionale e ciò che comportò nel tessuto autoctono settentrionale e nelle rispettive culture e organizzazioni politiche e sociali. Nella versione più attenta della sinistra il cambiamento era visto con gli occhi di chi arrivava e non di chi vedeva l’arrivo, questo meccanismo era per lo più legittimo in quanto erano proprio quelle fasce sociali immigrate che davano gambe allo sviluppo del nord e anche sotto il profilo squisitamente di classe erano le dirette avanguardie del cambiamento sindacale e politico. Tuttavia il non aver analizzato lo sguardo di chi vedeva arrivare ha fatto si che alcune contraddizioni siano rimaste sottotraccia, ma non sopite, e sono bastati alcuni anni perché queste riemergessero. Contraddizioni che hanno inglobato i precedenti flussi e hanno prodotto una nuova comunità sociale del nord, dove non è ovviamente sul piano razziale che si trova il principale legame, ma in quello produttivo e di sviluppo legato ad un preciso territorio.
Troppo spesso la ricerca rispetto alla questione settentrionale è stata misconosciuta dalla sinistra e dai marxisti. Gli intellettuali e i gruppi che si porranno il compito di investigare la questione settentrionale saranno pochissimi, e spesso osteggiati dai grossi blocchi politici . Possiamo ricordare il contributo della rivista “Ragionamenti”, un gruppo di intellettuali cresciuti sotto l’influenza di Adriano Olivetti, Successivamente fu Giangiacomo Feltrinelli a promuovere un Centro di Ricerche Economiche, irritando lo stesso leader del PCI Palmiro Togliatti, centro che iniziò ad approfondire la nuova realtà di sviluppo e trasformazione industriale e tecnologica del Nord Italia. In questa breve carrellata non possiamo non ricordare il contributo di Raniero Panzieri e il gruppo intorno a lui i Quaderni Rossi, che diedero dentro il nuovo contesto industriale del nord Italia nuove teorizzazioni ideologiche per la nascente nuova sinistra. Un autore nato dentro questo nuovo contesto di ricerca fu Danilo Montaldi (3). Montaldi fu un politico e un ricercatore eretico. Fu uno dei pochi autori della nuova sinistra nato dentro la cultura politica della sinistra comunista italiana e dalle correnti neo-consiliari francesi (4). La sua lente di ricerca era rivolta verso quel macroscopico mondo post contadino che viveva nelle province. Non era quindi unicamente la metropoli, la grande industria del nord ad essere analizzata ma le valli, gli uomini del Po, le piccole cittadine della val padana (5). Vi sono almeno due libri che in modo superlativo descrivono con gli occhi del nord i cambiamenti e le mutazioni in atto nel paese negli anni 50-60: Autobiografie della leggera(6), e Militanti politici di base(7). I due testi sotto il profilo squisitamente statistico non possono essere considerati scientifici, tuttavia vi è una capacità di lettura profonda dei mutamenti in atto, attraverso la viva voce dei protagonisti. Vengono descritti, nei due libri, i diversi atteggiamenti di fronte alle modificazioni repentine del nord, con la relativa rottura delle precedenti comunità sociali e politiche. I protagonisti dei due saggi sono gli emarginati dai cento incerti mestieri e dall’esistenza precaria, sono i militanti politici della bassa padana, contadini e operai inseriti in piccole unità produttive. Scriviamo questo non perché innamorati della memoria storica del nord, ma perché vi è stato un miope atteggiamento della sinistra che basandosi unicamente sulla “questione meridionale” si batteva per riannodare i fili della storia di classe del sud Italia, difendendo le tradizioni più nobili di tale terra, ma lasciava praticamente cadere nel dimenticatoio lo stesso fenomeno che avveniva al nord. La difesa dei dialetti, della cultura contadina veniva vista come “difesa di classe” unicamente sotto il profilo meridionale.Non è un caso che i fenomeni recenti di politicizzazione della questione settentrionale non partano dalla grandi città metropolitane, che hanno di fatto centrifugato tutto e tutti, ma dalle valli e dalle diverse “basse”. Inoltre queste zone “periferiche” hanno visto negli ultimi anni un poderoso sviluppo produttivo, di fronte ad una contrazione delle zone propriamente metropolitane del vecchio triangolo industriale (GE-TO-MI) creando una vera e propria “megalopoli padana” dove tuttavia la velocità di immagazzinamento e omologazione di una città metropolitana è diluita in un territorio più vasto smorzandone gli effetti. L’importanza economica e politica di una simile area creava quindi il presupposto per lo sviluppo di una nuova tensione settentrionale.E’ in questo senso che riappare dentro la questione settentrionale il problema non unicamente simbolico dell’identità. Dentro questo nuovo spazio, la “megalopoli padana”, acquisisce importanza la tradizione e le diverse anime del nord. Tutto questo sarà di fatto raccolto quasi unicamente dalla “destra” nel nostro paese.
Un discorso a parte meriterebbe l’analisi del PCI sulla questione settentrionale, e nello specifico rispetto alla problematica emiliana. Togliatti attraverso l’Emilia, renderà pratica la sua “via italiana al socialismo”. Non è nostra intenzione dare un giudizio sulla bontà di questo progetto, ci interessa in questa sede osservare come di fronte ad un determinato territorio il PCI svilupperà una sua originale via al socialismo.Tuttavia il PCI rimarrà rispetto alla questione settentrionale complessiva schiacciato dentro la dinamica della questione meridionale e al massimo studierà i fenomeni dentro le metropoli del nord, spesso rincorrendo sul piano teorico la nuova sinistra italiana, nata per lo più dentro la sinistra socialista. Non avrà la capacità di analisi complessiva rispetto al mutamento delle diverse Italie. Questo ritardo lo pagherà caro sia nei convulsi anni 70 sia nello scioglimento della sua esperienza alla fine degli anni 80. L’Emilia invece rappresenterà una anomalia rispetto al piano d’analisi del PCI riuscendo a teorizzare un modello che gli sopravviverà, anche se è ormai in fase calante. Ci ripromettiamo nella terza puntata di “cronache dal profondo nord” di investigare nello specifico la questione emiliana.
Recentemente di fronte ai bruschi mutamenti politici e produttivi del paese e nello specifico del nord Italia è apparsa una nuova letteratura rispetto alla questione settentrionale. Il testo che maggiormente ha riscosso successo, almeno negli ambiti di sinistra, è il saggio di Aldo Bonomi: Il capitalismo molecolare. La società al lavoro nel Nord Italia (8). Attorno a questo ricercatore si è creata tutta una schiera di autori, che hanno iniziato a descrivere la fine del triangolo industriale e lo sviluppo della “megalopoli padana”. Il libro offre spunti interessanti e per molti versi corretti rispetto ai cambiamenti in atto e alle nuove figure sociali e comunitarie che si andavano a costituire nel nord, ha tuttavia un grosso difetto di fondo. Non è una ricerca sulle contraddizioni in atto, ma una celebrazione di questi cambiamenti. Questa testo uscì all’inizio degli anni 90 dentro un contesto contraddistinto da una feroce campagna liberista, sulla spinta della new economy, che metteva al centro del suo ragionamento la fine della storia e quindi della lotta di classe. Si creò l’illusione di un mondo sempre più pacificato e si prevedeva l’avvento di una ridistribuzione economica grazie alle possibilità del mercato finanziario. La cosiddetta epopea del “piccolo e bello” del popolo delle partite iva prese a nuovo soggetto di cambiamento ha di fatto dato forza unicamente a gruppi politici che, dentro una visione neo-comunitaria, hanno sviluppato nuove forme di razzismo e neo-colonialismo, desiderose di difendere il proprio a scapito dell’altro. L’aver posizionato la lente d’inchiesta su un contesto preciso ha fatto dimenticare il contesto mondo su cui questi processi avvenivano e le relative controtendenze. Non è un caso che oggi siamo di fronte ad un silenzio imbarazzante rispetto ai processi di crisi in atto dentro la megalopoli padana. In questo senso la questione settentrionale ha liberato gli “spiriti animali” sopiti per anni, ma sempre presenti dentro la società italiana. La storia del popolo delle valli e del grande fiume si è tramutata in un arma per esercitare il diritto a mantenere il potere e un benessere economico nato anche grazie allo sfruttamento selvaggio di altre zone.
Oggi dentro a nuovi e sempre più veloci cambiamenti geopolitici dovuti ad una sempre più pressante crisi finanziario-produttiva è colpita anche la megalopoli padana, questo mentre vi sono profondi mutamenti nella composizione sociale, basti pensare ai nuovi flussi migratori e alla precarietà diffusa.La questione settentrionale tuttavia non può essere accantonata, in quanto oggi si gioca un partita importantissima dentro questo contesto territoriale, che rappresenta ancor oggi la parte più ricca del paese. Non basta difendere lo Stato di fronte agli “spiriti animali”, in quanto alcune delle contraddizioni emerse sono profondamente reali, ma bisogna riuscire a porsi il compito di cementificare l’unità delle fasce popolari attorno a progetti e organizzazioni che mettano al centro lo sviluppo di una nuova via pubblica e in questo la nefasta utopia del piccolo è bello va abbandonata nel museo della storia. Per almeno un decennio c’è stata da parte della sinistra una mitologia attorno a questo slogan, ampliata dal fenomeno zapatista, oggi lo stesso continente sud americano ci pone di fronte a nuove sfide attraverso la nascita di nuove dinamiche trasnazionali come dimostra il laboratorio degli Stati che hanno fatto proprio lo slogan del socialismo del XXI secolo. Parliamo di questo non per accontentarci di modelli precostituiti, ma come esempio di come le contraddizioni devono essere risolte su un piano generale e non meramente comunitario. Può essere azzardato un simile parallelismo, ma ci sembra che possa cogliere nel segno, rispetto ad un certo atteggiamento della sinistra, qui intesa nelle sue varie sfaccettature, nel provare a governare la complessità del presente. Bisogna riuscire a scoprire e intervenire dentro tutti quei momenti dove si materializza una nuova dimensione di classe che rompe con il particolarismo e pone sul piano degli interessi immediati una nuova cementificazione e organizzazione di classe. La sfida che oggi pongono le principali forze del sindacalismo di base e sociale oggi in Italia va in questa direzione.
Diego Negri
Note
1) Possiamo individuare tre momenti in cui la questione settentrionale assumerà connotati precisi in termini di dibattito e ricerca, vi è un primo momento legato al processo di unificazione dell’Italia a cavallo dell’800-900, un secondo dentro il miracolo economico negli anni 60 e in fine un terzo momento con la fine della prima repubblica alla fine degli anni 80.
2) Sul carattere di destra e l’ampiezza trasversale del fenomeno Lega rimandiamo al nostro precedente intervento: Il popolo leghista. Epopea, mito e realtà del “partito del popolo del nord”. Il materiale è consultabile sul sito: www.contropiano.org e su http://politicaeclasse.blogspot.com/
3) Rimandiamo alla raccolta di saggi di Danilo Montali: Bisogna Sognare, 1952-1975, edito dal Centro di Iniziativa Luca Rossi, 1994, Milano4) Per sinistra comunista italiana si intende quel filone che prende origine dal fondatore del PCdI nel 1921 Amadeo Bordiga, Per neo-consiliarismo, anche se la dicitura è sicuramente deficitaria, si intende l’esperienza della rivista francese Socialisme ou Barbarie e di vari gruppi ed intellettuali degli Stati Uniti. Per maggiori informazioni rimandiamo ai seguenti siti: www.quinterna.org e www.autprol.org
5) Questa attenzione non limitò tuttavia la capacità di inchiesta rispetto alle nuove contraddizioni del nord e alla nuova classe operaia che si stava costituendo come dimostra il saggio: Milano, Corea. Inchiesta sugli immigrati, scritto da Montaldi con Franco Alasia nel marzo del 1960
6) D.Montaldi, Autobiografie della leggera, Torino, Einaudi, 1961
7) D.Montaldi, Militanti politici di base, Torino, Einaudi, 1971
8) A.Bonomi, Il capitalismo molecolare. La società al lavoro nel Nord Italia, Torino, Einaudi, 1997
* La prima puntata: Il popolo leghista. Epopea, mito e realtà del “partito del popolo del nord”. Il materiale è consultabile sul sito: www.contropiano.org e su http://politicaeclasse.blogspot.com/
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